mercoledì 5 marzo 2008

Obama: "Sì, la storia siamo noi"
di Khaled Fouad Allam
[Articolo tratto dal sito del PD - MAGAZINE - 29 febbraio 2008]

Si è scritto molto e si scriverà ancora per molto tempo sulle attuali elezioni americane e sulla figura di Barack Obama; ma pochi hanno rapportato queste elezioni a ciò che sta vivendo l’Europa in generale e il nostro paese in particolare. Mi ricordo ancora come, quando circa vent’anni fa arrivai in Italia, come questo paese fosse ancora monoetnico, e come all’inizio degli anni ’90 l’immagine della nave che sbarcava in Puglia carica di profughi albanesi annunciasse una rottura nella storia, l’ingresso in una nuova fase.

Due momenti hanno segnato la storia del mondo negli ultimi anni: la caduta del muro di Berlino nel 1989 e l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers di New York. Questi due momenti hanno un punto in comune: entrambi pongono, anche se in modi molto diversi, il problema del rapporto fra cultura, identità e territorio. Quali sono i rapporti che questi elementi intrattengono oggi fra loro, mentre il mondo è attraversato da conflitti, guerre, razzismo, xenofobia, antisemitismo? Quale immagine della società ne emerge, quale elemento in comune fra Vienna, Roma, Parigi e Francoforte? Qualcuno dirà che il problema è l’islam, con la sua virulenza e la sua problematicità; io ritengo invece che si tratti semplicemente del rapporto fra uomo e democrazia. E forse oggi, molto più che all’epoca di Alexis de Tocqueville, è nel mondo americano che si inventano e si sperimentano le forze culturali, sociali e politiche di domani.

Si è visto in questi anni come di fronte alla questione dell’islam, visto unicamente nella prospettiva della guerra delle culture o del politically correct, molti si sono affrettati ad affermare la fine del modello americano di integrazione o la crisi della società multiculturale: come se il multiculturalismo fosse una filosofia, un sapere definito, e non una prassi, un itinerario, un’esperienza di vita. Lo stesso Obama è un prodotto della società multiculturale, dell’incontro di due persone che si sono amate, e le cui strade poi si sono separate. L’opinione pubblica tende spesso a interpretare la fine dei legami fra persone di etnia e fede diversa come prodotto di una guerra delle culture; ma è un ragionamento scorretto, perché la vita di una coppia è ben più e altro da ciò che possono essere i rapporti fra islam e occidente. Quanti Obama vivono nel nostro paese e in Europa, quanti ancora dovranno affrontare il dramma di una società che perde di vista l’uomo perché si affida a icone culturali? Si dovrebbe ricordare sempre che nessuna cultura ha le carte in regola per l’umanità.

La corsa alla presidenza americana di Barack Obama, questo prodotto della società multiculturale, ci spinge a riflettere, a tornare all’essenzialità delle cose e della vita. Lui può parlare di Gesù o del Corano, della cultura di suo padre o di quella di sua madre, ma ciò che davvero conta è il suo sentirsi americano, il suo esprimere una “fede civile”, al di là degli itinerari che ha percorso, delle lotte che ha intrapreso, delle sconfitte e delle sofferenze. C’è qualcosa di inedito in questo momento americano: è l’uomo che esce libero dalle gabbie etniche in cui la guerra delle culture l’aveva intrappolato, e dove molti come me si sono trovati sfiancati dal peso della discriminazione. Certo, oggi conosciamo il grande rischio dei fondamentalismi, il problema della sicurezza; ma questo non può essere un discorso che riguarda solo noi, immigrati e minoranze, perché è una lotta che riguarda tutti.

La sera, tornando a casa, ho ripensato a quell’ultima giornata in Parlamento; e come la pellicola di un film che scorre velocemente, ho rivisto gli episodi salienti della mia vita, le sfide e le battaglie vinte. Sono scoppiato in lacrime pensando alla difficoltà di vivere, alla ricerca della dignità, alla solitudine di tanti esseri umani che lottano per la loro integrazione. E mentre piangevo come un bambino di dieci anni, mi ricordai le parole del filosofo Al Tawhidi: “L’uomo è un problema per l’uomo”.

Riportata all’Italia, l’esperienza di Obama annuncia nuovi passaggi a venire, passaggi difficili ma ineluttabili. Giovedì scorso, mentre il sipario si chiudeva su questa esperienza legislativa, le ultime parole che ho pronunciato intendevano andare in questo senso: con l’ingresso in Parlamento di persone di origini e fedi diverse, si è scritta una pagina di storia del nostro paese, anche se molti non ne hanno misurato l’importanza. Come esprimere la nostra nuova italianità provenendo da orizzonti e itinerari diversi? E’ difficile, è una lotta quotidiana: e oggi è come trovarsi su un ponte che qualcuno è pronto a far crollare. Ma noi facciamo da battistrada; e forse domani qualcuno con un nome che risuona da antiche civiltà farà come Obama, esprimendo la sua fede civica nell’Italia, nella Francia o nella Germania.

Ma in Obama non c’è solo l’anticipazione di qualcosa a venire, perchè la sua candidatura porta in sé la necessità di una risposta a due pesanti quesiti del mondo contemporaneo. La nuova utopia che anima le democrazie contemporanee non è più unicamente incentrata nella realizzazione dell’uguaglianza economica, che era il cuore delle passioni politiche del ‘900; ma è piuttosto una combinazione fra la questione della diversità umana in tutti i suoi aspetti e la necessità dell’applicazione immediata dei diritti dell’uomo. E’ come se la democrazia richiedesse di inventare una nuova e più larga democrazia; e alla fine è sempre la questione democratica quella che si trova al centro della storia.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Giura che non lo dirai... di là!!! Però io nel mio intimo tifo Hillary. Lo so, lo so, è più vecchia, più supportata dagli apparati, più politica d'antan... ma il richiamo di genere è troppo forte. Per la miseria, per una volta che una donna - e che donna -sta per farcela, deve arrivare qualcuno di meglio? Uffa....