lunedì 11 febbraio 2008

Ru486: come stanno le cose in Italia, oggi



Riporto questo articolo sulla Ru486 e sulle immense difficoltà e sofferenze che le donne che vi ricorrono devono affrontare, in quanto mi è parso molto illuminante.

Siena, viaggio tra i "clandestini" della Ru486 (Sonia Renzini su l'Unità.it di oggi)

Arrivano da Padova, Verona, Palermo. Qualche volta sono sole, altre giungono insieme al partner, all’amica, alla mamma. Ognuna con il suo carico di sofferenza, la sua storia, il suo percorso a ostacoli. Perché l’aborto per una donna non è mai una passeggiata. Tanto meno quello farmacologico. Ne sanno qualcosa gli operatori del reparto di ginecologia delle Scotte di Siena, ormai un punto di riferimento nazionale per molte donne. Soprattutto per quelle che risiedono fuori Regione, stimate intorno al 95%: per lo più straniere, dell’Europa dell’Est nel 60% dei casi, nordafricane, cinesi e filippine per il 30%, italiane per il restante 10%. Qui, al secondo piano di una palazzina di un complesso ospedaliero che ha un bacino di utenza di 250mila abitanti, le donne che entrano vengono sottoposte a una lunga serie di esami, secondo la procedura prevista dal protocollo della Regione Toscana.

Una prassi consolidata che va avanti dal 2006, subito dopo la sperimentazione dell’ospedale di Pontedera che è stato capofila. «Si tratta di un protocollo molto restrittivo stilato rispettando al massimo lo spirito della 194», dice il ginecologo Cosimo Facchini, responsabile del servizio di tutela sociale per la maternità. «Tanto per cominciare la donna è tenuta a venire due volte in ospedale: la prima per accettare il protocollo, la seconda per la somministrazione della pillola Ru486. Inoltre, deve sottoporsi a continui controlli, insomma c’è un iter complesso da seguire che induce molte a rinunciare».

La selezione è già rigida dall’inizio, visto che l’aborto farmacologico può essere praticato solo in epoca precocissima, entro la settima settimana, quando molte non sanno neppure di essere incinte. Chi invece lo sa e decide per la pillola abortiva viene accuratamente visitata per verificare se rientra nei parametri stabiliti. Poi c’è il protocollo, una volta che la paziente ne ha presa visione e lo ha accettato, parte la richiesta del farmaco che è ad personam e arriva nell’arco di 2 o 3 giorni. A questo punto l’azienda si assume l’onere di sdoganarlo all’aereoporto, dopodiché la donna viene ricoverata e sottoposta di nuovo ad esami: sono previste dalle 5 alle 6 ecografie per ognuna oltre a colloqui con psicologi e assistenti sociali. Se tutto è nella norma si procede alla somministrazione, dopo un’ora o due molte lasciano l’ospedale, nel caso di non avvenuta espulsione del feto vengono richiamate e sottoposte ad assunzione di prostaglandina per indurre le contrazioni uterine. Questa fase può essere anche molto dolorosa e si risolve nell’arco di qualche ora. In ogni caso dopo 15 giorni le pazienti vengono richiamate per il controllo finale.

A Siena in poche rispettano l’obbligo di ricovero di tre giorni previsto dall’ex-ministro alla Salute Francesco Storace: almeno la metà delle donne firma per le dimissioni, ma è vincolata a rimanere in zona per prevenire eventuali emorragie o complicanze. In genere alloggiano negli alberghi vicini convenzionati con l’ospedale a prezzi ridotti per loro e per i familiari.

È una procedura lunga che scoraggia molte fin dall’inizio e finisce per persuadere gran parte delle altre che è meglio desistere. Risultato: su 40 richieste di interruzione farmacologica che arrivano ogni mese alle Scotte, solo 10 vengono soddisfatte. «La maggiore parte decide di portare avanti la gravidanza - racconta Cosimo Facchini - il punto di svolta generalmente è rappresentato dall’ecografia. Appena vedono il battito non ce la fanno più ad abortire, soprattutto le musulmane». Alle Scotte di storie così ce ne sono di continuo. Proprio l’altra mattina è stata la volta di una signora arrivata dalla Sicilia che ha scelto di continuare la gravidanza subito dopo avere effettuato l’ecografia. C’è anche il caso di una donna di Verona che ha deciso di partorire dopo essersi sottoposta senza risultato all’aborto farmacologico. Nel 2% dei casi la terapia può fallire, così per qualcuna viene letto come un segno del destino e funziona da deterrente. «A differenza dell’intervento chirurgico, dove basta il certificato del medico per fissare l’intervento anche telefonicamente, le donne sono molto più responsabilizzate - conclude Facchini - Con il metodo chirurgico la donna arriva in ospedale, le viene praticato il raschiamento in anestesia e poi rimandata a casa. Con la Ru486 la procedura è molto più lunga e coinvolge molto di più la donna nella sua scelta; non c’è dubbio che se il farmaco fosse liberalizzato ci sarebbe un calo significativo degli aborti [chirurgici, n.d.r.]».

(autore: Grazia)

9 commenti:

sissi ha detto...

"Pubblicato il: 11.02.08" vabbe'... MA DOVE, SANTIDDÌO???

Grazia, santapace, non ti riesce proprio di metterci un po' più di attenzione?

Roby ha detto...

Credo sia dall'Unità di oggi...

...almeno, questo è ciò che risulta da una ricerca in Google!

Robympicciona

grazia ha detto...

si,si,si, sull'Unità di oggi.
Credevo venisse evidenziato.

ciao

grazia ha detto...

Tra l'altro una testimonianza perfettamente rispondente alla realtà.
Come , invitava sissi,tempo fa, è arrivato il tempo di impegnarsi a fondo con tutte le altre associazioni e comitati che se ne stanno occupando, perchè ci stanno letteralmente levando il terreno da sotto i piedi; sia sulla Legge 194 che su tanti altri diritti.
Le ingerenze ecclesiastiche sono fortissime e a noi purtroppo manca Zapatero.
ciao

sissi ha detto...

gli interventi divini non mi risulta siano ancora disponibili (men che meno sui siti scomunicati come questo): il link ipertestuale va, pertanto, industriosamente impostato a mano dall'autore dei post.

grazia ha detto...

L'articolo è di Sonia Renzini, pubblicato sull'Unità di oggi.
ciao

sissi ha detto...

grazie, Grazia, ma dopo la segnalazione di Roby mi ero già attivata per fare il link, completare il testo con le citazioni di titolo e autore, provvedendo anche a prelevare la foto dall'articolo stesso e ad inserire le interlinee come nel pezzo originale.

sissi ha detto...

Ho letto attentamente il testo di questo post (cosa proficua, se non altro perché mi ha consentito di mettere una seconda erre, che mancava, nella parola deterrente).

A parte la bizzarria di menzionare una ecografia che procurerebbe la "visione" di un battito cardiaco, ritengo che l'articolo contenga alcune supeficialità, se non addirittura delle informazioni inesatte.

In primo luogo è improprio (se non tendenzioso) sostenere che la L. 194, nel caso di richiesta di aborto chirurgico, consenta di andare in ospedale con la prescrizione del medico e procedere all'intervento seduta stante: una frase del genere induce a credere che all'aborto chirurgico si arrivi più facilmente che a quello chimico; in realtà, le affermazioni di quel medico riportate nell'articolo rispecchiano solo quanto può risultare a un medico ospedaliero il cui ruolo viene attivato solo nella fase finale di un iter complesso, che però esiste ed è ben codificato negli articoli della legge. La quale legge:
1. prevede che i medici del consultorio (gli unici soggetti abilitati a rilasciare la prescrizione) procedano ad un colloquio volto:
- ad accertare le motivazioni che inducono la donna a richiedere l'IVG;
- a fornirle tutte le informazioni sia sui metodi contraccettivi da usare in futuro, sia sulle alternative esistenti per la situazione data ("aborto chimico", parto anonimo, autorizzazione all'adozione a parto avvenuto);
2. prescrive che sia osservato un intervallo di 7 giorni (cosiddetto "di riflessione") tra la presentazione della richiesta e l'effettuazione dell'intervento.
Può essere logico che il medico intervistato non faccia cenno a queste fasi, che sono anteriori all'arrivo della donna in ospedale e pertanto non lo riguardano; meno logico ritengo invece che sia il fatto che non vi faccia cenno neanche l'articolista.

In secondo luogo, la redattrice parla di "raschiamento in anestesia" come della prassi normale in caso di IVG mediante intervento chirurgico; al contrario, il raschiamento è stato da tempo sostituito - nella maggioranza dei casi - dal meno traumatico e pericoloso metodo del "courrettage", o aspirazione.

Quanto alla necessità di rimboccarsi le maniche per riaffrontare battaglie che credevamo vinte una volta per tutte, sto meditando di ripubblicare qui, se lo ritrovo, quanto ho scritto mesi fa in un paio di post per il "vecchio" blog, poi graziosamente eliminato dall'ineffabile ranvit.

Voi che ne pensate? ci saranno almeno una decina di nuovi lettori cui potrebbe interessare?

Anonimo ha detto...

Certo che interessa. Interessa perchè è chiaro che la campagna elettorale del c.d. insisterà sulla "moratoria". Ieri Berlusconi lo ha detto in modo chiaro.
Secondo me nella campagna elettorale andrebbero tradotte le affermazioni del cav. nel linguaggio concreto, per esempio cosa significa moratoria.
Insomma attrezziamoci.